~Thayr RoeyaQualcuno rispose, era ancora in vita ed invocava il suo aiuto.
-Che succede lì dentro? Mi senti?! Rispondi maledizione!- sbraitò lui nel tentativo di essere udito, ma evidentemente chi era intrappolato dietro quella porta era impegnato in ben altro viste le urla che ancora giungevano, anche se erano diventate quelle di una sola persona.
Tentò ancora di spingere, tirare, buttare giù a pugni quella dannatissima porta ma nulla funzionò e il suo cervellino, in moto da diverso tempo, trovò una sola soluzione per aprirla: la spada. Era giunta il momento di usarla nonostante tentasse sempre di conservarla per le occasioni speciali, ma insomma... Più speciale di quella?!
-Ti tiro fuori di lì! Resisti!- disse, mentre si allontanava di qualche passo e trattenne la torcia tra i denti. Con la sinistra afferrò l’impugnatura dello spadone, lo sollevò e se lo portò davanti; puntò la luce contro il punto che sarebbe andato a colpire ed era proprio quello che congiungeva le due metà, poi si concetrò per pochi istanti e con un grido affondò la lama colma di potere nel ferro.
Non ancora soddisfatto lasciò cadere la torcia per trovarsi libero di parlare e iniziò a pronunciare diverse parole in una lingua sconosciuta a molti che richiamarono altro potere che andò ad amalgamarsi all’arma che stringeva tra le mani, scivolò fino alla lama e i bordi affilati divennero dapprima liquidi, poi man mano più solidi e taglienti e alla fine presero a ruotare come fossero parte di una sega elettrica.
Thayr dal canto suo prese a far forza su quella, a spingerla verso il basso e a tagliare tutto ciò che incontrava nel tentativo di distruggere ciò che bloccava la porta ma faceva fatica: non aveva mai utilizzato una cosa simile in vita sua, sicuramente era troppo giovane per farlo e mantenerla attiva era una vera impresa. A dimostrazione di ciò vi era il viso affaticato, l’espressione dura e sofferente, i muscoli tesi e il sudore che gli rigava la pelle.
Strinse di più la presa così come i denti e diede un’ultima, potente spinta che provocò un frastuono non indifferente. Finalmente si rilassò ma solo il tempo di far tornare normale la sua arma, poi la tirò fuori dalla sua prigione di ferro e si fiondò sulla porta con un’unica spallata che la spalancò lasciando libera la strada e la sua vista.
Tra le grinfie di quel coso terrificante che era al centro della grande stanza c’era qualcuno. Non badò a chi fosse, non lo vedeva bene e a dirla tutta non vedeva neanche quell’affare che ai suoi occhi appariva solo come una massa informe, forse tentacolosa; doveva solo liberarlo e per farlo tentò un’azione piuttosto stupida ma che in ogni caso gli avrebbe garantito l’attenzione di quel mostro: lanciò lo spadone con l’intenzione di tagliare il tentacolo che imprigionava il povero malcapitato.