Kazuma YamashitaUna nottata quasi insonne. Ecco come aveva passato il resto di quella precedente bella serata lo storico, che si alzò più stanco di quando andò a letto. In realtà non sapeva nemmeno lui perché avesse avuto un sonno tanto agitato, fatto sta che riuscì a dormire pochissime ore e, quando arrivò davanti allo specchio del bagno trascinandosi come uno zombie, si spaventò perfino delle terribili occhiaie che gli solcavano il contorno occhi.
-Perfetto…- commentò mentalmente in riferimento a quelle, mentre con le mani andava a strofinarsi il viso per poi infilarsi sotto la doccia. Solo al termine di quella si rese conto dell’anticipo con il quale si era alzato, infatti la sveglia suonò qualche minuto più tardi, proprio mentre il moro si accingeva a prepararsi un bel caffè amaro che l’avrebbe tenuto sveglio per il resto della giornata. Con ancora la tazza tra le mani andò a pigiare il pulsantino in cima a quella, per far cessare quel fastidiosissimo suono che non faceva che aumentare il suo terribile mal di testa. Ancora qualche minuto di relax, in compagnia di quel forte aroma, per decidersi finalmente ad aprire l’armadio. Di completi eleganti ce n’erano almeno cinque, doveva solo decidere quale indossare, cosa in cui impiegò almeno dieci minuti del suo tempo, ma alla fine optò per un semplice completo scuro munito di cravatta del medesimo colore e spezzato soltanto dalla camicia bianca che si intravedeva al di sotto della giacca. Anche le scarpe seguivano lo stile classico dell’abito, colore compreso, e a quel punto mancava soltanto un po’ di gel tra i capelli per completare l’opera.
-Dovrei essere pronto…- meditò, controllando bene che tutti i particolari fossero al loro posto. E dopo essersene accertato si diresse all’ingresso, recuperando il cellulare, le chiavi e il cappotto, nero anch’esso, lungo e dal taglio classico. Lo indossò mentre con il suo solito passo lento percorreva i corridoi dello stabile in cui era situata la sua abitazione, fino ad uscire fuori e raggiungere il tempio in automobile.
Era ormai giunto il momento tanto atteso… O meglio, che avrebbe volentieri evitato, e infatti si chiedeva ancora cosa lo spingesse a parteciparvi, ma non era né il luogo, né il momento adatto per certe riflessioni. Mancavano, infatti, solo pochi secondi all’orario indicato per quel party e, non appena le lancette del suo orologio da polso raggiunsero il fatidico numerino, senza aver la possibilità di tirarsi indietro, Kazuma attraversò lo specchio. Si ritrovò in un bel giardino, pieno di siepi cosparse di rose rosse e molti altri invitati che avevano optato per l’arrivare in anticipo all’evento -cosa che lui non si sarebbe mai e poi mai sognato di fare-. Tutti chiacchieravano e spettegolavano tra loro, mentre si ingozzavano di aperitivi e stuzzichini vari, e dai loro mormorii e comportamenti si poteva ben intuire perché Morgan non li sopportasse. Il primo a dargli il benvenuto fu, comunque, l’organizzatore di quella festa -dopo uno dei camerieri che prese in custodia il suo cappotto, ovviamente-, nonché padre della “sposa” e capo del vampiro. Non fu certamente una lunga chiacchierata la loro, essendo lo storico di poche parole e l’altro di fretta, ma bastò a nauseare il primo al punto da ritirarsi vicino al buffet in cerca di qualche bevanda analcolica per iniziare quella lunga agonia alla ricerca di quel fotografo che aveva tanto insistito per averlo lì. Ma non c’era… Sbuffò seccato. Che avesse deciso di non presentarsi?
-Deve solo provarci…- pensò irritato. E per un’oretta e mezza buona rimase intorno al tavolo, impaziente di trovare quel ragazzino o, in caso quello non fosse arrivato, svignarsela da lì con qualche scusa. Fortuna volle che, proprio nel momento in cui il giapponese iniziò a camminare in direzione dell’uscita deciso ad abbandonare quel giardino fin troppo affollato, i suoi occhi incrociarono una figura familiare fasciata da abiti bianchi e seduta su una delle panchina sparse a costeggiare le siepi. Allora non gli aveva dato buca… ma dov’era stato fino ad allora?!
-Ma che m’importa?!- si rimproverò da solo, certo che non fossero affari suoi, mentre si fermava ad ammirarlo almeno qualche secondo, prima di accorgersene e riscuotersi con tanto di ennesimo rimprovero, cambiando poi direzione per raggiungerlo. Si fermò esattamente davanti a lui, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo puntato sulla sua testolina argentata.
-Pensavo non venissi più.- gli disse soltanto, col solito tono piatto che faceva sembrare quella frase una specie di ramanzina per il suo ritardo.